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martedì 27 novembre 2012

CHIUDE ILVA DI TARANTO: SCIOPERO E TENSIONE

Dell'ILVA di Taranto già ci eravamo occupati in passato
il 30 luglio
il 18 agosto
e il 23 agosto

La situazione è evoluta fino all'epilogo di stamattina

Dalla lettura delle nostre iniziali prese di posizione, che confermiamo al cento per cento anche alla luce dei più recenti avvenimenti, potrete constatare che, come suol dirsi, avevamo (amaramente) ragione e ci avevamo visto giusto. Purtroppo, anche per il fatto che come AGL siamo nati a giugno, non abbiamo avuto la possibilità di essere presenti, in loco e di parlare direttamente ai lavoratori coinvolti i quali, da anni (ma sembra l'abbia fatto pure l'azienda) si sono costantemente e massicciamente rivolti a CGIL, CISL, UIL. Altri sindacati minori si sono fatti sentire ma ciò non ha spostato il baricentro della strategia del movimento di protesta. I risultati sono stati quindi quelli che conoscete. Delusione e disperazione dei lavoratori. Sindacati che non sanno che pesci prendere. Governo (e istituzioni) completamente rintronati, ai massimi livelli.
Giovedì prossimo è previsto un incontro tra governo, azienda e parti sociali che dovrebbe sfociare in un provvedimento d'urgenza i cui contenuti, allo stato, non è dato conoscere ma che sappiamo già non sarà risolutivo ma solo interlocutorio.
Noi non saremo a quell'incontro ma riteniamo utile, per l'ennesima volta, a futura memoria, ribadire e specificare il nostro punto di vista, radicalmente alternativo a quello degli altri sindacati.
Speriamo di essere chiari, una volta per tutte.
Produrre acciaio , anche senza inquinare, in Italia NON è “strategico”.Non porterebbe da nessuna parte né aumentare le tasse né richiedere prestiti alla collettività per effettuare investimenti che tutti concordano essere dell'entità di miliardi di euro, sia che vengano gestiti dal soggetto pubblico né, men che meno ,dal soggetto privato. Anche se è stato praticato da altri paesi industrializzati di recente (ad esempio il governo USA con la Chrysler ) il concetto di “salvataggio” dell'industria da parte dello Stato con soldi pubblici è sbagliato perchè di corto respiro, oltre che insostenibile in epoca di enorme debito pubblico. E poi gli USA e gli altri paesi industrializzati sono una cosa, il cosiddetto “sistema” Italia è un'altra, con caratteristiche sue peculiari. In esso è evidente che ancora sono in vita (per poco) aziende in crisi che non dovrebbero più esistere. Ad esempio le acciaierie italiane non sono e non potranno essere più competitive nel mondo. Già certi processi sono in corso e sorprende che dal mondo accademico, cui l'attuale governo è così legato, nessuno faccia presente che tra dieci anni l'acciaio, nel mondo, sarà prodotto, a costi per noi insostenibili, da polacchi, cinesi, indiani, sudamericani. Si tratta di produzioni a basso valore aggiunto che troveranno contesti paese più adatti alla loro produzione, rispetto alle caratteristiche dell'Italia. Per l'acciaio l'Europa Occidentale è finita, non ha futuro. Il problema di fronte alle classi dirigenti del nostro continente è investire in attività e imprese che abbiano un futuro. Le aziende che lo hanno sono quelle che producono autonomamente utili, che riescano a mantenersi sul mercato, non quelle che campano di sussidi pubblici. Questo quadro è peggiorato, in Italia, dall'incapacità dei sindacati di pretendere e ottenere aumenti salariali derivanti dalla eventuale riduzione di imposte e contributi. Questi sindacati sono infatti sotto il ricatto e il potere di una pubblica amministrazione mastodontica che vuole ingrassare sempre di più, senza dare servizi decenti e che dà da mangiare a partiti e agli stessi sindacati. Tutto ciò rende non più competitivo il costo del lavoro italiano. Oltre all'acciaio, analogo discorso può essere fatto per il carbone e per la situazione sarda. Le strade che si stanno percorrendo non porteranno a nulla se non a maggiori illusioni e caos. Potevamo arrivarci con più calma e organizzazione. Le classi dirigenti sono state miopi e ora per salvarci dovremo fare in fretta, molto in fretta. Taglio di rami inutili della pubblica amministrazione, mobilità guidata e veloce del personale tra amministrazioni esaurite e quelle che abbiano una prospettiva per evitare licenziamenti, utilizzo massiccio delle zone franche fiscali per promuovere sviluppo, investimento per lo più in turismo e cultura. Questa l'unica via d'uscita, per Taranto e per la Sardegna, dicendo addio all'ILVA e alle miniere. Ma ciò vale in generale per l'Italia e per situazioni analoghe sul territorio. Basta con l'auto a benzina, si parta subito con l'elettrico e con i mezzi di trasporto pubblico. Se FIAT vuole starci bene, altrimenti scindere i destini del nostro Paese da quelli di questa azienda. Come altri hanno detto, ci sono circa due miliardi di persone, dalla Cina e dall'India che già vorrebbero venire a visitare l'Italia ma che non possono farlo per la nostra disorganizzazione nel settore turismo e cultura (ad esempio il nostro patrimonio artistico non è catalogato e digitalizzato) . L'Italia ha i cervelli e gli imprenditori per poter realizzare ciò. Monti li metta in condizione di lavorare. Quando si sostiene che nessun paese al mondo ha una economia che funziona senza la presenza dell'industria, si dimentica di dire che quelle dell'acciaio e quella del carbone sono solo due dei tipi di industria. La divisione del lavoro internazionale sta cambiando, quei tipi di industria che abbiamo avuto nel passato tra poco emigreranno verso paesi nei quali le condizioni per ospitarle sono più adeguate. L'Italia deve avere l'industria ma non di quel tipo. Turismo e Cultura possono procurare, se sviluppati e organizzati, anche più posti di lavoro della decadente industria pesante italiana. L'Italia, altri hanno detto, e a ragione, potrebbe essere per l'Europa quello che la Florida è per gli Stati Uniti, con una qualità della vita incomparabilmente migliore. Capiamo che imprenditori che hanno campato di aiuti statali finora e sindacati che hanno vissuto di trattenute sindacali di lavoratori dipendenti di fabbriche di massa possano essere a disagio in conseguenza di questi cambiamenti. Ma il problema è capire se l'interesse del Paese coincida con loro o con altre esigenze della popolazione. Ovviamente, nel mezzo, ci sono altri casi in cui una produzione (stiamo parlando dei nostri settori di eccellenza) ha senso che rimanga in Italia ma è necessaria una ristrutturazione relativa a caratteristiche organizzative che diminuiscono la competitività. Ma è finito il tempo di sprecare e buttare soldi pubblici. In Italia dobbiamo avere il coraggio di far fallire imprese decotte e superate e di favorire il ricambio ad opera di soggetti più dinamici che creino profitti e posti di lavoro, stimolando la raccolta di capitali dai privati , facilitata dalla detassazione degli investimenti. .
Sorprende che nessun sindacato italiano oltre al nostro abbia il coraggio di sostenere queste cose.
In bocca al lupo agli operai dell'ILVA e dell'indotto, siamo e saremo con loro indipendentemente dal fatto che siano d'accordo o meno con quanto da noi proposto.

giovedì 22 novembre 2012

IL GRANDE REGISTA KEN LOACH RIFIUTA UN IMPORTANTE PREMIO A TORINO E SI SCHIERA CON I LAVORATORI

Comunicato di Ken Loach:
"E' con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film.
I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema.
Tuttavia, c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile.
A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (MNC). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari.
In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili.
Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses». Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni.
Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio".
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I complimenti dell'AGL al Maestro inglese e la nostra solidarietà a tutti i lavoratori coinvolti.

mercoledì 21 novembre 2012

TAR : DOMANDA RINNOVO PERMESSO SOGGIORNO IN RITARDO? CONCEDIBILE SE......

Questura di Asti. Un albanese chiede rinnovo permesso soggiorno con 2 anni e 7 mesi di ritardo.La Questura rifiuta e lo straniero fa ricorso al TAR Piemonte.Il TAR gli dà ragione e sentenzia che il permesso va comunque rinnovato in quanto la tardivita' della richiesta non puo' costituire sufficiente motivazione di diniego.L'immigrato, lavoratore subordinato, non aveva giustificato il ritardo.I giudici, pero', dopo avere fatto presente che non esistono termini perentori, hanno sottolineato che lo straniero di cui trattasi e' ben inserito dal punto di vista sociale e lavorativo sul territorio nazionale e ha manifestato in maniera inequivocabile la volonta' di soggiornare sostenendosi con i proventi derivanti da attivita' lecitamente svolte.